martedì 25 giugno 2013

VOGLIO TORNARE IN LIBRERIA PER FARE L'ORDINE ALFABETICO

“Abbiamo deciso, dovete rifare tutta la parete di narrativa in ordine alfabetico. Non più divisa per editore, ma per autore”.
La notizia arrivò ufficiale, ma erano mesi che discutevano, loro, i nostri capi, compreso il sommo pensatore, quello che se ne va in giro in bicicletta per Bologna a settant’anni, con un ciuffo e degli occhiali improponibili, che veniva spiato dai servizi segreti quando con l’altro inventava e dava corpo alla prima catena di librerie di questo paese e che qualcuno vorrebbe senatore a vita... 
Ci coinvolgevano, è vero, era una discussione appassionante che metteva in campo le più disparate questioni. Interrogavamo i clienti, gli scrittori che transitavano, si provava a immaginare, ognuno diceva la sua, ma ormai questo passaggio andava fatto, perché pure la Feltrinelli... per intenderci su quanto sopra...
Io ero perplessa. Le indicazioni erano: su sette campate due fisse rimangono ad Adelphi ed Einaudi, i quattro scorrevoli a Iperborea, Minimum fax, E/O e Marcos y Marcos. Loro erano salvi, ecco. Gli altri si sarebbero un po’ persi, non più riconoscibili come macchie editoriali ma per autore. Secondo me sarebbe stato impossibile venderli, ma tant’è, mica ne avevamo poi più tanti di piccoli editori...
Quindi ci organizziamo. Inizia quello che fu, in assoluto, il lavoro più bello che feci in una libreria. Decidemmo di occuparcene io e il capo dell’epoca, piombato in quel periodo dalla città sabauda. Ci odiavamo profondamente, ricordo lo sguardo prima di iniziare. “Tanto faremo fatica e quindi staremo zitti”. Perfetto.
Cinque minuti però per trovare il metodo e poi cominciamo. La parete era divisa per editori, quindi interi scaffali venivano tolti e divisi in alfabetico facendo delle pile per terra. In questo modo si creavano i primi “buchi” e intanto si toglievano altri titoli e si alzavano le pile. Le prime lettere dell’alfabetico venivano fatte scorrere direttamente a scaffale. Era difficile vedere una fine, una conclusione. Mi scrivevo a penna sulle mani le lettere dell’alfabetico, quelle straniere, perché le dimentico sempre e non sia mai sbagliare che si perde tempo e devi tornare indietro.
Unico momento di tensione, il capo mi disse: “Spostati alla fine e vai al contrario”. “Cosa?!”. “Sì, parti dalla Z e vai indietro”. Era un pazzo, lo sapevamo, non gli rispondo, sguardo torvo e questa volta capisce. E poi ecco le mani sullo scaffale, precise mi raccomando: AB, ABB, AC... 
Finiamo, dopo cinque ore. Un passo indietro e guardo la prospettiva. L’intera parete completamente diversa e tutto cambiato, l’occhio non riconosce più quello che prima, in maniera immediata, vedeva e coglieva. “Non troveremo più nulla”. Primo panico. Però era bella. Molto, in ordine. Dovevamo abituarci a vedere spuntare la costa col marchio Mondadori vicino a un Neri Pozza. Un cambiamento forte. Ma era lì, finita, e io stravolta.
E quando ci passo davanti, ora da cliente un po’ privilegiata, mi fermo ancora a guardarla e penso che quegli scaffali li han fatti le mie mani. Senza ragionamenti confusi, senza ansie, in silenzio, pure con l’odioso a fianco, solo le mie mani che poi erano diventate piene di polvere e quando le si lava scende l’acqua tutta nera.

Questo è la cosa più bella dello stare in libreria, mettere tutto in ordine alfabetico.



giovedì 10 gennaio 2013

rubare libri... sarà mica un reato?


In libreria, quando ci si parla, si utilizza un gergo quasi militare, anche perché non esiste quasi mai un clima del tutto non-violento e pacifico. "Presidiare" è il termine con cui si è soliti indicare dove ci si deve mettere: "Presidia quel settore", "presidia la cassa", "presidia i clienti"... Questo manifesta in realtà la grande e profonda angoscia che attanaglia i grandi librai: il furto. E' una questione anche e sottilmente psicologica, perché non si potrà mai avere il controllo totale e visivo di tutta la merce, piccola e incanalata negli scaffali, facilmente estraibile e nascondibile con rapidità. Lo sguardo sorridente e attento del bravo e gentile libraio verso il cliente non è un agire professionale, ma è un attenzionarsi immediato sul rischio continuo che chiunque entri sia in realtà un ladro e di quelli proprio bravi, che ha già individuato quell'edizione fotografica e costosa da tempo e che è tornato proprio per compiere il turpe gesto. Quando questi sospetti cominciano a prendere corpo, il libraio si prodiga in atteggiamenti e in movimenti da vero teatrante che celano però il vero intento di controllo ossessivo. Il cliente sospetto viene visualizzato con la coda dell'occhio mentre si fa finta di sistemare lo scaffale o, se proprio i dubbi diventano quasi certezze, lo si avvicina con domande smaccatamente interessate. Certo, la tecnologia offre soluzioni come gli anti-taccheggio, piccole listelle metalizzate da inserire tra le pagine, ma nella confusione e nella fretta mica sempre si riesce a mettere al sicuro le centinaia e centinaia di volumi che arrivano ogni giorno. Quindi, in qualche modo, il furto in libreria è qualcosa a cui non si riesce a porre rimedio e di conseguenza rubare nelle librerie è davvero molto facile.
Ricordo un intervento accalorato di Romano Montroni, storico direttore delle Feltrinelli, mentre raccontava come un vero e proprio dramma-trauma-storico-economico l'esproprio proletario che subì a Bologna, nella libreria di piazza Ravegnana sotto le due torri, durante i mesi del movimento del '77. Credo che, nonostante cinquant'anni di onorata carriera, quel fatto non sia mai riuscito a superarlo.
Eppure, esiste un libraio che non la pensa così, anzi. E' il protagonista del Parnaso Ambulante, di Morley http://www.sellerio.it/it/catalogo/Parnaso-Ambulante/Morley/386 classico della letteratura filo-libraria, che a un certo punto si accorge, di sottecchi, che un tizio gli sta rubando un libro sotto il naso. Lui è seduto che legge, alza appena gli occhi dalle pagine, lo vede, e non fa nulla. Perché in fondo sta rubando un libro, certo prezioso, ma lui sa di sicuro che appena uscito dal negozio, quello stesso libro, sarà letto. Ed è questa la cosa che veramente conta.





martedì 1 gennaio 2013

le posizioni del leggere

Leggere per lavoro ha implicato una serie di scelte logistiche e ambientali non indifferenti e che a dirla tutta non mi lasciano ancora proprio soddisfatta. Ovviamente per ammortizzare i costi del poco guadagno il mio luogo di lavoro è casa mia che ha solo due stanze: zona giorno e zona notte, quindi la scelta è limitata. Per una maggiore professionalità e senso del dovere di solito mi posiziono sul tavolo della cucina, evitando la tentazione di sdraiarmi a letto, approfittando quindi della possibilità di avere a portata di mano molti caffè (il sonno rimane sempre il peggior nemico). Mi sono accorta strada facendo che l'incombere del silenzio, le mura sono molto coibentate e dall'esterno filtra poco, diventava un fattore di pesantezza a cui dovevo porre rimedio. Ma ascoltare parole mentre si leggono parole è, se si vuole, ancora peggio. Così ho trovato la soluzione della musica classica, che francamente avevo sempre considerato poco nella vita, scoprendo il canale 5 della filodiffusione che è diventato il compagno di lunghe ore di lettura-lavoro. Ogni tanto però mi tocca abbassare il volume perché fanno delle prove tecniche di sincronizzazione e partono dei sibili prolungati e urticanti... immaginate quindi per quante ore rimango sintonizzata. Occorre fare molte e brevi pause, il tempo dedicato a una buona correzione deve essere minimo e intenso, se prolungato rischia di non farti vedere nemmeno un'acca (e sono guai). E' che io non so per nulla stare ferma, avessi dei fogli in mano continuerei a camminare.



Altra cosa è il leggere per sé. Vedo immagini di poltrone ergonomiche, amache, divani con viste mozzafiato pieni di cuscini, librerie hi-tech che contengono anfratti per sedersi, leggii che sorreggono i tomi e forse girano pure le pagine. Chi legge in poltrona, pur traendone grande godimento non ne dubito, a mio avviso manifesta troppa serietà: è una postura importante, da gran studioso. Oppure ci sono quelli temerari che leggono mentre camminano o aggrappati a tram che ondeggiano e a ogni frenata si prodigano in gesti atletici non indifferenti. Niente di tutti ciò è per me. Io quando leggo, leggo sdraiata. E nemmeno stirata sulla schiena o appoggiata alla testiera del letto, no, proprio messa di fianco di modo che le braccia non facciano nemmeno la fatica di sorreggere il libro appoggiato al materasso e con le gambe perfettamente distese. Unica controindicazione il malaugurato inizio del formicolio alla spalla.
Credo sia un retaggio infantile, quando si stava sotto le coperte con la torcia per non farsi vedere dai genitori che volevano solo che tu dormissi presto. E perché il libro è un incontro intimo e solitario, da vivere ancora nascosti e rannicchiati e sempre all'erta sbirciando di sottecchi che nessuno sappia cosa stai leggendo...



giovedì 27 dicembre 2012

i miei donatori di lavoro

Correggo bozze per un editore a pagamento, ricevo le commesse via e-mail e i miei datori di lavoro non li ho mai conosciuti. L'editoria a pagamento è multiforme: ci sono quelli più truffaldini che beffano con contratti nebulosi e costringono l'autore ad acquistare copie che non venderanno mai; altri sono più onesti e stabiliscono nero su bianco dei tariffari su diversi servizi, l'autore chiede un preventivo e poi decide se e cosa pagare. Io lavoro per questi. Essendo un mondo impazzito, l'editoria non dovrebbe funzionare così ma esattamente all'opposto: nessun autore dovrebbe mai pagare per essere pubblicato, nessun editore dovrebbe chiedere soldi per pubblicare. Il lavoro, se degno e decoroso, dovrebbere percorerre ben altre vie: l'editore valuta un manoscritto e decide se investire, non il contario. L'editore mette a disposizione le sue competenze per valorizzare al meglio l'autore, non il contario. Ma nel mondo dell'editoria che ha lo sguardo di chi cammina a testa in giù, l'editoria a pagamento è quella che fattura. Noi collaboratori esterni, ben poco in realtà.
Nel mondo all'incontrario i miei donatori di lavoro non mi hanno mai fatto un colloquio, mi hanno chiesto qualche referenza e competenza e poi ho iniziato. Ho parlato con loro al telefono solo un paio di volte per dei dettagli, immaginando dalle voci la loro età. Non so quanti siano i miei colleghi, certe volte fantastico un nutrito gruppo sparso qua e là, altre mi vien da pensare che siamo ben pochi visto che ogni tanto mi mettono molta fretta. Ma io cerco di essere puntuale e loro sono contenti. Le e-mail che mi mandano sembrano prestampate, un unico carattere e formato, sempre precise e dettagliate. In queste ultime settimane ho cambiato referente però, è successo che dopo i primi mesi improvvisamente se n'è inserito uno nuovo e quello con cui avevo sempre colloquiato progressivamente ha perso il suo ruolo... Questa cosa mi ha un po' preoccupata ma sono riuscita a gestire la mia curiosità concentrandomi sul distacco professionale, come il format delle loro e-mail. In questi ultimi giorni, in realtà, siccome alcune commesse erano particolarmente ostiche, il mio nuovo referente mi ha chiamata per ben due volte al telefono e, come dire, questa cosa mi ha fatto piacere, come se stessimo prendendo più confidenza. Fra qualche giorno mi sentirò meno intimidita e magari gli farò pure gli auguri di buon anno. Via e-mail, s'intende, anche se le mie sono sempre sgangherate. Aspiro a raggiungere il format ideale. Ah, loro mi danno del Lei.


sabato 22 dicembre 2012

I libri si usurano, sappiatelo


Il grande pezzo del lavoro in libreria consiste nel prendersi cura dei libri. Non nel senso letterale o intellettuale, ma puramente fisico. La giornata in libreria inizia con lo spolvero, dalla mensola più alta a quella più bassa, perché la polvere cade, mica risale. Soprattutto però mai passare lo straccio sulla costa superiore, così si rischia che i granelli si infilino tra le pagine e son danni. Tutto ciò avviene con cura e generosità, il libro lo si ripone in maniera lineare, lo si raddrizza, si lucida la copertina e per chi vuole osare c'è anche spazio per cambiargli posizione, o ricollocarlo, o decidere una buona volta che ha fatto il suo tempo e che è ora che ritorni in fila agli altri. Così, ricordo, iniziai il mio primo giorno di lavoro: la collega, la mia prima maestra, mi accolse dicendo: "Vuoi imparare a fare questo lavoro? Ecco, comincia a spolverare". E io ne fui entusiasta, perché così e non in altro modo, imparai. Questo è la cura e la dedizione che si dà ai libri, perché tutto ciò che sta loro attorno, gli è ostile. La polvere, le piccole gocce di acqua e di umido che si infiltrano e gonfiano leggermente la carta, o creano piccoli rivoli tra le pagine, e la luce che scolorisce le copertine. A una bancarella una volta ne vidi una che portava in sé i segni di un principio d'incendio. La carta è mobile, i pori sono cellule deboli che non hanno molta sostanza per rimanere aggregate e spesso, quelle più in difficoltà, rischiano di sgretolarsi tra le dita. Noi tendiamo a prendercene cura a mantenerli se non perfetti, almeno in buona forma. Ma un libro sente il tempo che passa che li accartoccia e ingiallisce le pagine, che lo rende un vecchio anziano incanutito. E quando le clienti, con fare spocchioso, si avvicinavano facendomi notare piccoli segni di spiegazzature o di pagine non più di accecante clorato, io le guardavo con fare rassegnato dicendo loro: "Dobbiamo farcene una ragione, niente possiamo fare contro ciò che accade, perché i libri sono esseri vivi e non indenni allo scorrere del tempo che li usura."

venerdì 21 dicembre 2012

dammi fiducia

«Ci sono tante cose che mi esasperano e che non riesco a leggere. Qualcuno inizia con la descrizione del personaggio che si imbarca su un aereo e raddrizza il sedile. E io gli direi: tesoro, sono stata su un aereo. Dammi fiducia».

mi hanno fatto credere...

Iniziai a correggere bozze un anno fa, dopo un intenso corso editoriale. Pensavo, e a ragion veduta, che il leggere, ma soprattutto la dimensione del silenzio e della concentrazione, mi potessero giovare dopo anni di caotiche librerie, dove le parole mute e appiccicate alle pagine reclamavano giusta attenzione e cura, scalzate dal rumore di altre voci chiassose e pretendenti attenzioni spesso disilluse. I margini per quel lavoro stavano finendo e volli impararne un altro. Imparare una tecnica, un metodo, un rigore nuovi di cui avevo bisogno. Il correttore di bozze è un personaggio altamente letterario: in questo bel romanzo http://www.marcosymarcos.com/Il_correttore/Il_correttore.html il protagonista sta per vivere la tragedia terroristica della strage di Atocha a Madrid mentre corregge i demoni di Dostoevskij e poi qui http://www.einaudi.it/libri/libro/sophie-bassignac/gli-acquari-luminosi/978880619710 lei è una correttrice che dalla sua stanza sbircia le finestre accese degli appartamenti vicini...
Tempo fa si aggiunse anche un blog di professionisti che raccontavano le proprie esistenze, ne lessi alcune rimanendo stupefatta: una donna aveva finalmente scelto di andare a vivere col marito in campagna, nel verde dei boschi, coi cani. Al mattino, ancora in vestaglia, aspettava il postino che le recapitava il manoscritto spedito dall'editore e lei iniziava il suo lavoro in terrazza.
Questa cosa mi si stampò nella mente e continuai per giorni a immaginare la donna con la casa nel bosco. Non ci volle molto a intuire che le cose, proprio così non erano...