“Abbiamo deciso, dovete rifare tutta la parete di narrativa in
ordine alfabetico. Non più divisa per editore, ma per autore”.
La notizia arrivò ufficiale, ma erano mesi
che discutevano, loro, i nostri capi, compreso il sommo pensatore, quello che
se ne va in giro in bicicletta per Bologna a settant’anni, con un ciuffo e
degli occhiali improponibili, che veniva spiato dai servizi segreti quando con
l’altro inventava e dava corpo alla prima catena di librerie di questo paese e
che qualcuno vorrebbe senatore a vita...
Ci coinvolgevano, è vero, era una
discussione appassionante che metteva in campo le più disparate questioni.
Interrogavamo i clienti, gli scrittori che transitavano, si provava a
immaginare, ognuno diceva la sua, ma ormai questo passaggio andava fatto,
perché pure la Feltrinelli... per intenderci su quanto sopra...
Io ero perplessa. Le indicazioni erano: su
sette campate due fisse rimangono ad Adelphi ed Einaudi, i quattro scorrevoli a
Iperborea, Minimum fax, E/O e Marcos y Marcos. Loro erano salvi, ecco. Gli
altri si sarebbero un po’ persi, non più riconoscibili come macchie editoriali ma per autore.
Secondo me sarebbe stato impossibile venderli, ma tant’è, mica ne avevamo poi
più tanti di piccoli editori...
Quindi ci organizziamo. Inizia quello che
fu, in assoluto, il lavoro più bello che feci in una libreria. Decidemmo di
occuparcene io e il capo dell’epoca, piombato in quel periodo dalla città
sabauda. Ci odiavamo profondamente, ricordo lo sguardo prima di iniziare. “Tanto
faremo fatica e quindi staremo zitti”. Perfetto.
Cinque minuti però per trovare il metodo e poi cominciamo. La
parete era divisa per editori, quindi interi scaffali venivano tolti e divisi
in alfabetico facendo delle pile per terra. In questo modo si creavano i primi
“buchi” e intanto si toglievano altri titoli e si alzavano le pile. Le prime
lettere dell’alfabetico venivano fatte scorrere direttamente a scaffale. Era
difficile vedere una fine, una conclusione. Mi scrivevo a penna sulle mani le
lettere dell’alfabetico, quelle straniere, perché le dimentico sempre e non sia
mai sbagliare che si perde tempo e devi tornare indietro.
Unico momento di tensione, il capo mi disse: “Spostati alla fine e
vai al contrario”. “Cosa?!”. “Sì, parti dalla Z e vai indietro”. Era un pazzo,
lo sapevamo, non gli rispondo, sguardo torvo e questa volta capisce. E poi ecco
le mani sullo scaffale, precise mi raccomando: AB, ABB, AC...
Finiamo, dopo cinque ore. Un passo
indietro e guardo la prospettiva. L’intera parete completamente diversa e tutto
cambiato, l’occhio non riconosce più quello che prima, in maniera immediata,
vedeva e coglieva. “Non troveremo più nulla”. Primo panico. Però era bella.
Molto, in ordine. Dovevamo abituarci a vedere spuntare la costa col marchio Mondadori
vicino a un Neri Pozza. Un cambiamento forte. Ma era lì, finita, e io
stravolta.
E quando ci passo davanti, ora da cliente un po’ privilegiata, mi
fermo ancora a guardarla e penso che quegli scaffali li han fatti le mie mani.
Senza ragionamenti confusi, senza ansie, in silenzio, pure con l’odioso a
fianco, solo le mie mani che poi erano diventate piene di polvere e quando le si
lava scende l’acqua tutta nera.
Questo è la cosa più bella dello stare in libreria, mettere tutto
in ordine alfabetico.
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